Free-Piston

L’origine dei motori a ciclo Stirling free-piston (free piston Stirling engine) risale ad una brillante idea di W. Beale che nel 1964 intravide la possibilità di far funzionare una macchina di Stirling senza manovellismo affidando alle variazioni di pressione il compito di muovere il pistone ed il displacer.




I principali vantaggi di un motore Stirling free-piston sono l’elevata efficienza, la relativa semplicità costruttiva e di funzionamento, la presenza di poche parti mobili, l’assenza di manovellismi, la possibilità di essere alimentato, come per le altre tipologie di macchine di Stirling, da diversi combustibili ed eventualmente ad energia solare o nucleare, la possibilità di produrre potenza in un intervallo ampio di temperature delle sorgenti termiche, l’elevata affidabilità, l’assenza di perdite del gas di lavoro, la possibilità di realizzazioni in intervalli di potenza da qualche W alle decine di kW, e infine la possibilità di funzionamento da refrigeratore ed eventualmente duplex (motore e refrigeratore).
La minore usura dei componenti rispetto ad un analogo motore con manovellismo è dovuta all’assenza di forze laterali agenti sul pistone e displacer ad eccezione eventualmente del peso proprio dei componenti nel caso in cui l’asse non sia verticale.
A questi indubbi vantaggi si contrappone la difficoltà progettuale di un motore in cui il moto dei vari componenti non è stabilito a priori da un manovellismo che ne imponga la legge di variazione reciproca e per cui successivamente si possa disegnare la macchina ottimizzandone le prestazioni, come per le configurazioni classiche di macchine di Stirling. Nel caso del free-piston la dinamica delle parti mobili e la termodinamica della macchina sono fortemente correlate e si influenzano a vicenda: l’ottimizzazione delle prestazioni dovrà quindi essere ottenuta combinando questi due effetti.
Pertanto oltre alle difficoltà realizzative e progettuali proprie delle macchine di Stirling, nel caso di macchine free-piston, si aggiunge la difficoltà dovuta all’assenza di un manovellismo che imponga una legge di variazione dei volumi fissa anche in funzione delle variazioni del carico.
Questo fa si che a seguito di variazioni di carico o di caratteristiche termodinamiche di funzionamento della macchina cambi non solo la frequenza di oscillazione dei pistoni, ma anche le loro corse, il loro sfasamento e la loro distanza reciproca. Spetta ad una corretta ed attenta progettazione far si che queste variazioni non comportino penalizzazioni delle prestazioni della macchina.


Cenni sul funzionamento di un motore Stirling free piston

Si prenda in considerazione una macchina di Stirling free piston come quella della figura successiva.


Si trascuri per semplicità, e perché comunque poco significativa rispetto alle altre forze in gioco, la forza di gravità agente sul displacer e sul pistone.
Trascuriamo inoltre per semplicità espositiva la presenza del carico, degli attriti tra le parti in moto ed altre effetti dissipativi.
Fornendo calore tramite lo scambiatore caldo al fluido presente in esso e nella zona di espansione la pressione del fluido tende ad aumentare nella camera di espansione e di compressione fino a sorpassare il valore della pressione vigente nella zona di rimbalzo. Per effetto delle forze di pressione agenti sulle superfici del pistone e del displacer questi tenderanno a scendere. Essendo però il displacer notevolmente più leggero del pistone ed essendo l’area della sezione del cilindro maggiore rispetto a quella del rod l’accelerazione del displacer risulterà superiore rispetto a quella del pistone.
Il fluido quindi passerà attraverso gli scambiatori esterni dalla camera di compressione alla camera di espansione dove si scalderà ulteriormente aumentando ancora la differenza di pressione e quindi le forze agenti sul pistone e sul displacer. Di conseguenza il pistone continuerà il suo moto ed il fluido subirà una espansione. La pressione nello spazio di rimbalzo aumenterà a causa del moto del pistone e del displacer fino a raggiungere e sorpassare la pressione nello spazio di lavoro; le due masse invertiranno allora il loro moto ma anche in questo caso il displacer avrà un’accelerazione maggiore. Il moto combinato del pistone e del displacer causerà il passaggio del fluido dalla camera di espansione alla camera di compressione attraverso gli scambiatori ed il rigeneratore. Il fluido quindi subirà una diminuzione di temperatura a seguito dell’effetto rigenerativo e del calore ceduto nello scambiatore freddo; come conseguenza la pressione vigente nello spazio di lavoro diminuirà ulteriormente. Quando il displacer avrà raggiunto il suo punto morto superiore la quasi totalità del fluido sarà nella camera di compressione e verrà compresso a seguito del moto del pistone. La pressione nello spazio di lavoro aumenterà mentre diminuirà quella vigente nello spazio di rimbalzo; ancora una volta le forze agenti sulle masse invertiranno le loro direzioni causando il moto del pistone e del displacer verso il basso ed il ciclo si ripeterà.





Il lavoro netto è raccolto dal pistone tramite ad esempio un generatore elettrico lineare ma non sono rari i casi di applicazione di questo tipo di macchina per azionare una pompa lineare.
La possibilità di estrarre lavoro dalla macchina è garantita dalla combinazione opportuna delle fluttuazioni di pressione e del movimento del pistone e del displacer.
Il moto del solo displacer permette il passaggio del fluido dalla parte calda a quella fredda e viceversa determinando le variazioni di pressione del fluido; il pistone effettua la compressione e l’espansione del fluido ed in definitiva l’estrazione di lavoro utile.


Per ulteriori informazioni: fede.marca@gmail.com

La macchina di Stirling

1- Richiami di termodinamica del ciclo di Stirling

Come noto il ciclo di Carnot (costituito da due isoterme e due adiabatiche) è il ciclo termodinamico che assicura il maggiore rendimento possibile in sede ideale tra le due temperature estreme del ciclo. Il rendimento sarà:

Nel 1873 Reitlinger dimostrò che tutte le macchine operanti nel medesimo intervallo di temperature e funzionanti con cicli costituiti da due isoterme e da altre due trasformazioni omologhe rigenerative sono in grado di realizzare il medesimo rendimento del ciclo di Carnot.
Assumendo quindi un ciclo con due trasformazioni isoterme alla massima e alla minima temperatura realizzando le altre due trasformazioni mediante isocore, politropiche o isobare rigenerative si otterrà il rendimento massimo ideale.
Se si operano due isobare si avrà il ciclo di Ericsson (1853), con due isocore il ciclo di Stirling (1816), con due politropiche il ciclo di Reitlinger (1873). Nelle seguenti Figure riportiamo sul piano P-V un confronto tra il ciclo di Stirling e il ciclo di Carnot e di Ericsson a parità di temperature estreme e di volumi massimi e minimi disponibili.




Dal punto di vista termodinamico il ciclo di Stirling presenta il vantaggio rispetto agli altri cicli menzionati di avere un maggiore lavoro specifico prodotto nel singolo ciclo.
Si riportano per confronto i lavori prodotti dai vari cicli a parità di temperature estreme Tmax e Tmin e di volumi massimi e minimi Vmax e Vmin offerti al fluido di lavoro.

A - Ciclo di Stirling:
B-Ciclo di Carnot:


Confrontando le espressioni (8) e (4) si nota che i termini sotto logaritmo sono diversi; in particolare il primo termine della (8) risulta minore rispetto all’analogo della (4) mentre il contrario si ha per i secondi termini. Tuttavia nell’espressione (8) l’effetto complessivo comporta una riduzione del lavoro utile rispetto al caso di Stirling poiché il primo termine è moltiplicato per la temperatura massima mentre il secondo termine, quello maggiore rispetto al ciclo Stirling, è moltiplicato per la temperatura minima.

C- Ciclo di Ericsson:


Anche in questo caso, come per il ciclo di Carnot, il lavoro utile risulta minore rispetto a quello prodotto dal ciclo Stirling.
Il ciclo di Stirling, a prescindere dalle difficoltà realizzative della macchina, è il ciclo termodinamico che presenta almeno in sede ideale il miglior rendimento e il maggior lavoro specifico.
Dalle espressioni precedenti si nota inoltre l’influenza del tipo di fluido di lavoro utilizzato sulle prestazioni della macchina. A parità di altri parametri un fluido con costante R maggiore produrrà un lavoro maggiore; si spiega quindi la scelta per molte macchine di funzionare con elio od idrogeno piuttosto che con aria (Relio = 2078 J/kgK, Raria = 287.1 J/kgK, Ridrogeno = 4126 J/kgK).


2- Breve storia della macchina di Stirling

La macchina di Stirling deve il suo nome al suo inventore il reverendo Robert Stirling che nel 1815 inventò e nel 1817 brevettò la prima versione della macchina il cui disegno (molto probabilmente dello stesso Robert Stirling) è riportato in Figura 3.


Figura 3: Un disegno della prima versione della macchina di Stirling

La macchina era costituita da un lungo cilindro riscaldato nella parte superiore tramite i gas caldi prodotti da una combustione e raffreddato nella parte inferiore con aria o acqua. Il cilindro contiene al suo interno un diplacer di diametro sensibilmente minore rispetto al diametro interno del cilindro ed un pistone con cui viene raccolto il lavoro prodotto dalla macchina. Il moto alternato del pistone e del displacer è regolato dal manovellismo visibile in figura. Il displacer determina il passaggio del fluido di lavoro dalla parte calda a quella fredda del cilindro facendolo passare attraverso un rigeneratore metallico disposto intorno ad esso.
Il successo della macchina di Stirling però venne oscurato dalla presenza dei cicli a vapore che all’epoca garantivano migliori prestazioni e maggiore affidabilità soprattutto per quanto riguardava la resistenza meccanica delle parti calde della macchina. A frenare ancora di più lo sviluppo della macchina di Stirling, che dal punto di vista termodinamico offre le migliori prestazioni possibili, fu l’avvento dei motori a combustione interna che all’epoca erano competitivi rispetto le macchine Stirling. L’insuccesso della macchina fu all’epoca di natura prettamente tecnologica. Nel 1930 la Philips riprese lo studio di motori Stirling in gruppi elettrogeni per alimentare radio e trasmettitori nel settore militare grazie alle caratteristiche di silenziosità e policombustibilità che solo la macchina di Stirling poteva offrire. Vennero realizzati alcuni modelli ma lo sviluppo si interruppe con la scoperta e la diffusione delle radio a transistor. Nuova rinascita si ebbe a seguito della crisi energetica del 1973: il motore Stirling venne indicato come la soluzione per la produzione di energia ad elevati rendimenti e bassi costi del kWh ma la crisi dello Yom Kippur spinse gli investimenti verso settori di ricerca più sicuri e quindi sui motori a combustione interna che furono largamente studiati e sviluppati per ridurne i consumi.

3- Principio di funzionamento

Il ciclo termodinamico di Stirling è costituito da quattro trasformazioni, una compressione isoterma, una espansione isoterma e due trasformazioni isocore rigenerative. Il ciclo ideale è riportato in Figura 4 sul piano P-V.


Figura 4: Ciclo di Stirling nel piano P-V

Il calore viene scambiato con l’esterno tramite le due trasformazioni di compressione ed espansione; in particolare affinché la compressione sia perfettamente isoterma è necessario che il fluido ceda una determinata quantità di calore (pari al lavoro di compressione) all’esterno e che durante l’espansione isoterma questo riceva dall’esterno del calore (pari al lavoro di espansione). Durante le due trasformazioni isocore il fluido viene alternativamente scaldato e raffreddato senza che questo scambi calore con l’esterno ma cedendo ed acquistando successivamente la stessa quantità di calore ad un rigeneratore termico. In questo modo il fluido acquista calore dall’esterno ad elevata temperatura durante la fase di espansione e lo cede a bassa temperatura durante la compressione. Se la rigenerazione è ideale il rendimento del ciclo sarà pari a quello del ciclo di Carnot operante tra le stesse temperature estreme, e quindi il rendimento massimo che un ciclo termodinamico ideale può avere fissate le temperature estreme.
Il lavoro specifico che si ottiene da un ciclo Stirling ideale è dato da:


Dove Vmin e Vmax sono i volumi minimi e massimi disponibili per il fluido ed R la costante del gas utilizzato.
Nelle macchine reali le trasformazioni di compressione ed espansione avvengono molto rapidamente e sono più vicine a trasformazioni adiabatiche rispetto ad isoterme. Da qui la necessità di inserire degli scambiatori termici ausiliari per poter permettere gli scambi di calore tra il fluido e l’esterno. Si viene così a realizzare il classico schema a cinque componenti: camera di compressione, scambiatore freddo, rigeneratore, scambiatore caldo, camera di espansione.



Figura 5: Configurazione Stirling a cinque componenti

Il moto dei pistoni determina sia lo scambio di lavoro con l’esterno e il fluido sia il passaggio del fluido di lavoro tra le diverse camere realizzando le due isocore.
La presenza di scambiatori ausiliari determina la presenza di volumi morti con conseguente riduzione del rapporto di compressione della macchina e peggioramento delle prestazioni globali.
Inoltre le trasformazioni di espansione e compressione nelle macchine reali avvengono molto rapidamente e sono quindi più simili a delle adiabatiche che a delle isoterme.

Figura 6: Ciclo di Stirling con isoterme (in nero) e adiabatiche (in blu e rosso)

La prima completa analisi del funzionamento di una macchina di Stirling si deve a Schmidt (1871) che propose una formulazione relativamente semplice per calcolare le prestazioni della macchina. Ad ogni modo le ipotesi che permisero l’integrazione delle equazioni sviluppate da Smith sono notevolmente semplificative dei processi che avvengono in una macchina reale. Tuttavia i risultati ottenuti con tale analisi presentano risultati soddisfacenti e furono adoperati per anni.


4- Tipologie di motori Stirling

Esistono diverse tipologie di motori a ciclo Stirling e diversi criteri per classificarle; uno dei più utilizzati è quello proposto da Kirkley in base al quale le macchine di Stirling possono essere ricondotte a tre tipologie denominate alfa, beta e gamma.
Quando sono previsti due cilindri distinti contenenti due stantuffi di lavoro sulle cui facce agisce la pressione istantanea del ciclo si ha la configurazione chiamata alfa.
Se invece in uno stesso cilindro scorrono un displacer ed un pistone di potenza la configurazione è detta beta.
Infine qualora uno dei due spazi di lavoro, quello di compressione, sia diviso tra i due cilindri che costituiscono la macchina si ha la configurazione gamma.
La configurazione alfa ha il vantaggio di avere ridotti volumi morti e poter separare il pistone caldo da quello freddo ma pone il problema di effettuare due tenute sulle aste dei pistoni. La configurazione beta è quella che pone minori problemi di volumi morti e di tenute.
La configurazione gamma ha un pistone ed un displacer come la configurazione beta ma questi sono posti in diversi cilindri separando così il cilindro contenente gli scambiatori da quello contenente il pistone. Tuttavia questa configurazione presenta in genere maggiori volumi morti rispetto le altre configurazioni e poiché parte dell’espansione avviene nel cilindro di compressione la potenza specifica risulta ridotta. La configurazione gamma è utilizzata per lo più per macchine di piccola potenza e modellini didattici.




Figura 7: Configurazione alfa

Figura 8 : Configurazione beta

Figura 9: Configurazione gamma

Oggetto

Macchina di Stirling free piston