Come noto il ciclo di Carnot (costituito da due isoterme e due adiabatiche) è il ciclo termodinamico che assicura il maggiore rendimento possibile in sede ideale tra le due temperature estreme del ciclo. Il rendimento sarà:
Nel 1873 Reitlinger dimostrò che tutte le macchine operanti nel medesimo intervallo di temperature e funzionanti con cicli costituiti da due isoterme e da altre due trasformazioni omologhe rigenerative sono in grado di realizzare il medesimo rendimento del ciclo di Carnot.
Assumendo quindi un ciclo con due trasformazioni isoterme alla massima e alla minima temperatura realizzando le altre due trasformazioni mediante isocore, politropiche o isobare rigenerative si otterrà il rendimento massimo ideale.
Se si operano due isobare si avrà il ciclo di Ericsson (1853), con due isocore il ciclo di Stirling (1816), con due politropiche il ciclo di Reitlinger (1873). Nelle seguenti Figure riportiamo sul piano P-V un confronto tra il ciclo di Stirling e il ciclo di Carnot e di Ericsson a parità di temperature estreme e di volumi massimi e minimi disponibili.
Dal punto di vista termodinamico il ciclo di Stirling presenta il vantaggio rispetto agli altri cicli menzionati di avere un maggiore lavoro specifico prodotto nel singolo ciclo.
Si riportano per confronto i lavori prodotti dai vari cicli a parità di temperature estreme Tmax e Tmin e di volumi massimi e minimi Vmax e Vmin offerti al fluido di lavoro.
A - Ciclo di Stirling:
B-Ciclo di Carnot:
Confrontando le espressioni (8) e (4) si nota che i termini sotto logaritmo sono diversi; in particolare il primo termine della (8) risulta minore rispetto all’analogo della (4) mentre il contrario si ha per i secondi termini. Tuttavia nell’espressione (8) l’effetto complessivo comporta una riduzione del lavoro utile rispetto al caso di Stirling poiché il primo termine è moltiplicato per la temperatura massima mentre il secondo termine, quello maggiore rispetto al ciclo Stirling, è moltiplicato per la temperatura minima.
C- Ciclo di Ericsson:
Anche in questo caso, come per il ciclo di Carnot, il lavoro utile risulta minore rispetto a quello prodotto dal ciclo Stirling.
Il ciclo di Stirling, a prescindere dalle difficoltà realizzative della macchina, è il ciclo termodinamico che presenta almeno in sede ideale il miglior rendimento e il maggior lavoro specifico.
Dalle espressioni precedenti si nota inoltre l’influenza del tipo di fluido di lavoro utilizzato sulle prestazioni della macchina. A parità di altri parametri un fluido con costante R maggiore produrrà un lavoro maggiore; si spiega quindi la scelta per molte macchine di funzionare con elio od idrogeno piuttosto che con aria (Relio = 2078 J/kgK, Raria = 287.1 J/kgK, Ridrogeno = 4126 J/kgK).
2- Breve storia della macchina di Stirling
La macchina di Stirling deve il suo nome al suo inventore il reverendo Robert Stirling che nel 1815 inventò e nel 1817 brevettò la prima versione della macchina il cui disegno (molto probabilmente dello stesso Robert Stirling) è riportato in Figura 3.
Figura 3: Un disegno della prima versione della macchina di Stirling
La macchina era costituita da un lungo cilindro riscaldato nella parte superiore tramite i gas caldi prodotti da una combustione e raffreddato nella parte inferiore con aria o acqua. Il cilindro contiene al suo interno un diplacer di diametro sensibilmente minore rispetto al diametro interno del cilindro ed un pistone con cui viene raccolto il lavoro prodotto dalla macchina. Il moto alternato del pistone e del displacer è regolato dal manovellismo visibile in figura. Il displacer determina il passaggio del fluido di lavoro dalla parte calda a quella fredda del cilindro facendolo passare attraverso un rigeneratore metallico disposto intorno ad esso.
Il successo della macchina di Stirling però venne oscurato dalla presenza dei cicli a vapore che all’epoca garantivano migliori prestazioni e maggiore affidabilità soprattutto per quanto riguardava la resistenza meccanica delle parti calde della macchina. A frenare ancora di più lo sviluppo della macchina di Stirling, che dal punto di vista termodinamico offre le migliori prestazioni possibili, fu l’avvento dei motori a combustione interna che all’epoca erano competitivi rispetto le macchine Stirling. L’insuccesso della macchina fu all’epoca di natura prettamente tecnologica. Nel 1930 la Philips riprese lo studio di motori Stirling in gruppi elettrogeni per alimentare radio e trasmettitori nel settore militare grazie alle caratteristiche di silenziosità e policombustibilità che solo la macchina di Stirling poteva offrire. Vennero realizzati alcuni modelli ma lo sviluppo si interruppe con la scoperta e la diffusione delle radio a transistor. Nuova rinascita si ebbe a seguito della crisi energetica del 1973: il motore Stirling venne indicato come la soluzione per la produzione di energia ad elevati rendimenti e bassi costi del kWh ma la crisi dello Yom Kippur spinse gli investimenti verso settori di ricerca più sicuri e quindi sui motori a combustione interna che furono largamente studiati e sviluppati per ridurne i consumi.
3- Principio di funzionamento
Il ciclo termodinamico di Stirling è costituito da quattro trasformazioni, una compressione isoterma, una espansione isoterma e due trasformazioni isocore rigenerative. Il ciclo ideale è riportato in Figura 4 sul piano P-V.
Figura 4: Ciclo di Stirling nel piano P-V
Il calore viene scambiato con l’esterno tramite le due trasformazioni di compressione ed espansione; in particolare affinché la compressione sia perfettamente isoterma è necessario che il fluido ceda una determinata quantità di calore (pari al lavoro di compressione) all’esterno e che durante l’espansione isoterma questo riceva dall’esterno del calore (pari al lavoro di espansione). Durante le due trasformazioni isocore il fluido viene alternativamente scaldato e raffreddato senza che questo scambi calore con l’esterno ma cedendo ed acquistando successivamente la stessa quantità di calore ad un rigeneratore termico. In questo modo il fluido acquista calore dall’esterno ad elevata temperatura durante la fase di espansione e lo cede a bassa temperatura durante la compressione. Se la rigenerazione è ideale il rendimento del ciclo sarà pari a quello del ciclo di Carnot operante tra le stesse temperature estreme, e quindi il rendimento massimo che un ciclo termodinamico ideale può avere fissate le temperature estreme.
Il lavoro specifico che si ottiene da un ciclo Stirling ideale è dato da:
Dove Vmin e Vmax sono i volumi minimi e massimi disponibili per il fluido ed R la costante del gas utilizzato.
Nelle macchine reali le trasformazioni di compressione ed espansione avvengono molto rapidamente e sono più vicine a trasformazioni adiabatiche rispetto ad isoterme. Da qui la necessità di inserire degli scambiatori termici ausiliari per poter permettere gli scambi di calore tra il fluido e l’esterno. Si viene così a realizzare il classico schema a cinque componenti: camera di compressione, scambiatore freddo, rigeneratore, scambiatore caldo, camera di espansione.
Figura 5: Configurazione Stirling a cinque componenti
Il moto dei pistoni determina sia lo scambio di lavoro con l’esterno e il fluido sia il passaggio del fluido di lavoro tra le diverse camere realizzando le due isocore.
La presenza di scambiatori ausiliari determina la presenza di volumi morti con conseguente riduzione del rapporto di compressione della macchina e peggioramento delle prestazioni globali.
Inoltre le trasformazioni di espansione e compressione nelle macchine reali avvengono molto rapidamente e sono quindi più simili a delle adiabatiche che a delle isoterme.
Figura 6: Ciclo di Stirling con isoterme (in nero) e adiabatiche (in blu e rosso)
La prima completa analisi del funzionamento di una macchina di Stirling si deve a Schmidt (1871) che propose una formulazione relativamente semplice per calcolare le prestazioni della macchina. Ad ogni modo le ipotesi che permisero l’integrazione delle equazioni sviluppate da Smith sono notevolmente semplificative dei processi che avvengono in una macchina reale. Tuttavia i risultati ottenuti con tale analisi presentano risultati soddisfacenti e furono adoperati per anni.
4- Tipologie di motori Stirling
Esistono diverse tipologie di motori a ciclo Stirling e diversi criteri per classificarle; uno dei più utilizzati è quello proposto da Kirkley in base al quale le macchine di Stirling possono essere ricondotte a tre tipologie denominate alfa, beta e gamma.
Quando sono previsti due cilindri distinti contenenti due stantuffi di lavoro sulle cui facce agisce la pressione istantanea del ciclo si ha la configurazione chiamata alfa.
Se invece in uno stesso cilindro scorrono un displacer ed un pistone di potenza la configurazione è detta beta.
Infine qualora uno dei due spazi di lavoro, quello di compressione, sia diviso tra i due cilindri che costituiscono la macchina si ha la configurazione gamma.
La configurazione alfa ha il vantaggio di avere ridotti volumi morti e poter separare il pistone caldo da quello freddo ma pone il problema di effettuare due tenute sulle aste dei pistoni. La configurazione beta è quella che pone minori problemi di volumi morti e di tenute.
La configurazione gamma ha un pistone ed un displacer come la configurazione beta ma questi sono posti in diversi cilindri separando così il cilindro contenente gli scambiatori da quello contenente il pistone. Tuttavia questa configurazione presenta in genere maggiori volumi morti rispetto le altre configurazioni e poiché parte dell’espansione avviene nel cilindro di compressione la potenza specifica risulta ridotta. La configurazione gamma è utilizzata per lo più per macchine di piccola potenza e modellini didattici.
Figura 7: Configurazione alfa
Figura 8 : Configurazione beta
Figura 9: Configurazione gamma
1 commento:
...davvero interessante!!!
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